L’immagine proviene da: Wikimedia Commons
Controversia sul confine
Di Gabriele Iannizzi
Ha una storia di diversi secoli e talvolta ha causato problemi; questa controversia, che coinvolge il “tetto d’Europa”, è però ancora lontana dall’essere risolta.
Da tempo si è riaperto un dibattito che ritorna con una certa periodicità: quello sul confine italo-francese sul Monte Bianco, la montagna più alta d’Europa, il cui massiccio è condiviso tra la regione italiana della Valle d’Aosta, dove domina Courmayeur, il dipartimento francese dell’Alta Savoia, dove sovrasta Chamonix-Mont-Blanc e Saint-Gervais-les-Bains, e, in misura minore, il Vallese svizzero.
Alla fine del 2020, la famosa montagna ha sicuramente suscitato molte passioni: un decreto per la protezione degli habitat naturali (APHN), entrato in vigore ad ottobre su iniziativa francese, ha provocato la reazione seccata del Ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, che ha inviato una lettera di reclamo al governo d’oltralpe tramite l’Ambasciata d’Italia a Parigi. Nella missiva viene espresso il “forte disappunto” per l’”interferenza francese” in alcune zone del massiccio che Roma rivendica sotto la sua sovranità.
Se questo e altri episodi simili hanno anche innescato le proteste dei principali partiti sovranisti italiani, è altresì vero che la maggior parte delle ordinanze circoscritte ordinate negli ultimi anni dalle autorità locali francesi non ha mai avuto conseguenze reali, né provocato gravi danni economici. Tuttavia, al di là delle esagerazioni, quella del Monte Bianco è una questione interessante, che nasce da una serie di ambiguità che molti ritengono debbano essere chiarite una volta per tutte.
L’evoluzione storica della frontiera
Fino all’inizio dell’Ottocento, i territori compresi tra il Lago di Ginevra, il Piemonte, la Liguria e il Mar Ligure erano uniti sotto la corona del Regno di Sardegna, governato dai Savoia. A quel tempo, nessun confine internazionale attraversava il massiccio del Monte Bianco.
In seguito alle vittorie militari di Napoleone, i Savoia dovettero cedere alla Francia l’omonima regione e Nizza. Il Trattato di Parigi del 4 maggio 1796 prevedeva una delimitazione piuttosto vaga, della quale una delle interpretazioni era che il confine sulla vetta fosse visibile dai comuni di Chamonix e Courmayeur. La vetta del Monte Bianco, però, non era visibile e non lo è nemmeno tuttora dal paese di Courmayeur, sebbene sia osservabile dalle frazioni di La Palud e Planpincieux.
Con la Restaurazione, le conquiste napoleoniche furono cancellate e la Savoia tornò al Regno di Sardegna, che tracciò un confine interno sul massiccio del Monte Bianco tra questa regione e il Ducato di Aosta. Questo confine passava esattamente in corrispondenza della vetta dividendola a metà e decenni dopo sarebbe stato utilizzato per separare la Francia dall’Italia. Nel 1860, infatti, fu firmato il Trattato di Torino, con il quale Vittorio Emanuele II di Savoia cedette alla Francia alcuni territori di confine, tra cui la Savoia, in cambio degli aiuti militari ricevuti durante la Seconda Guerra d’Indipendenza italiana.
A quest’epoca risale l’attuale disputa territoriale: l’Italia considera come confine italo-francese quello indicato dal Trattato di Torino, che divide la vetta del Monte Bianco tra i due Paesi. Tuttavia, pochi anni dopo, l’esercito francese ha prodotto una propria carta geografica del massiccio, che assegna l’integralità della vetta a Parigi e che, essendo stata adottata dalla cartografia civile, è stata ugualmente utilizzata per risolvere un’altra controversia territoriale interna alla Francia – tra i comuni di Saint-Gervais e Chamonix – dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Nelle convenzioni territoriali ratificate dalle Nazioni Unite dopo il conflitto, invece, viene rispettato il Trattato di Torino, con il confine che passa sulla vetta del Monte Bianco.
Attualmente, la Francia dichiara di non possedere più nei suoi archivi le mappe che illustrano il Trattato di Torino e ritiene quindi validi i confini del Trattato di Parigi, che le attribuisce l’intera vetta della montagna.
Perché ne parliamo ancora oggi
Il confine italo-francese attraversa la vetta del Monte Bianco nella maggior parte delle interpretazioni, dalla cartografia ufficiale della NATO alle mappe italiane e a quelle di Google e Apple. La porzione di territorio in questione è un’area di alta montagna priva di confini fisici e di insediamenti umani, fatto salvo le due importanti eccezioni del rifugio Torino e della stazione di arrivo della funivia Skyway Monte Bianco, che sale da Courmayeur. Questi due edifici sono considerati italiani, ma il rifugio fa parte di un’area che la Francia incorpora nelle sue mappe.
In linea di massima, la rivendicazione francese sulla vetta del Monte Bianco e su altre porzioni del massiccio non ha conseguenze concrete, ma la questione si ripresenta ogni volta che i comuni transalpini situati appena oltre il confine emanano ordinanze locali; l’ultima è stata scritta poche settimane fa dal sindaco di Saint-Gervais-les-Bains, Jean-Marc Peillex, per stigmatizzare il comportamento di certi “avventori stravaganti” osservato di recente sulla famosa montagna (a settembre 2019, un alpinista britannico aveva abbandonato il suo vogatore a 4362 metri sul livello del mare).
A seguito della protesta da parte italiana del ministro Di Maio, il governo francese ha preso atto del caso, sostenendo che si tratta di “un’area geografica che da diversi decenni è oggetto di contesa territoriale tra Francia e Italia”. Quanto a lui, il partito neofascista “Casapound” si è addirittura recato sulla Punta Helbronner per piantare il tricolore italiano in difesa dei “sacri confini nazionali”.
Certo, se questa iniziativa folcloristica fa sorridere, la questione a volte può rivelarsi più seria di quanto ci si potrebbe aspettare: nel 2015 due guide alpine inviate dal sindaco di Chamonix avevano chiuso il cancello che regola l’accesso al Ghiacciaio del Gigante (Francia) dal Rifugio Torino. Anche se l’azione francese aveva finalità di sicurezza per limitare l’afflusso di turisti in un’area considerata pericolosa, da molti è stata percepita come un’intrusione nel territorio italiano con impatti concreti sul funzionamento del rifugio e sull’afflusso di clienti. Il cancello è stato riaperto poco dopo, ma questo episodio è stato spesso interpretato come un esempio dei potenziali problemi che questo contenzioso potrebbe causare, soprattutto per quanto riguarda la pertinenza delle responsabilità di soccorso agli alpinisti in difficoltà.
Come ha dichiarato al quotidiano “Repubblica” il cartografo italiano Giorgio Aliprandi, “la controversia è più rilevante di quanto pensiamo” per essere lasciata nelle grinfie della strumentalizzazione politica.